Ride bene chi deride per ultimo: la filosofia di Voltaire

François-Marie Arouet, più noto con lo pseudonimo di Voltaire (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778)

Arrogante ed ironico, arrabbiato e sopra le righe, il suo sorriso è quello di una gioconda che ci ha lasciato libri e scritti capaci di aprire nuove prospettive in ogni disciplina studiata dall’uomo. A cominciare dall’ironia, con il famoso “Candide”.
Nato in una famiglia borghese molto ricca: papà funzionario giansenista, fratello fanatico giansenista e mamma quasi nobile. Col tempo decide di distaccarsene, sia perché ciò che scrive sul suo passato può “essere falso”, come sostiene svariate volte (cercando di negare un passato che non gli è mai andato a genio), sia perché il rapporto col padre va sempre più ad inasprirsi. “Papà o vùole avvocàth, ma a fijese nun je piace assai” direbbero altrove: infatti predilige fare poesia e frequentare circoli libertini di filosofia a Parigi. A ragione di ciò si vanta di essere un figlio illegitimo.
Questa sua rabbia inespressa (almeno fino ad ora) per il padre che lo costringe comunque a viaggiare per lavoro, e lavoro mai gradito quale notarile o di legge, gli fa venire una voglia matta di andare contro ogni istituzione ed autorità, non ha importanza chi, basta che ci sia astio e che quindi lui si possa divertire a polemizzare. Scrive versi e articoli contro i big del suo tempo, e ciò gli costa una serie di sfortunati eventi: nel 1717 è in una cella della Bastiglia; una volta uscito viene bastonato da un nobile e quest’ultimo rifiuta la proposta di duello lanciata dal poeta; viene imprigionato nuovamente e, sfinito dal fatto che possa accadere una terza volta, emigra in Inghilterra.
Sull’isola conosce grandi personaggi, fra i quali Swift e Berkeley, e aderisce alle nuove idee illuministe che vanno contro l’assolutismo della Francia. Ispirato da tutto ciò, prende la penna e scrive le “Lettere Inglesi”, la prima serie di testi che porta il suo nuovo nome, quello per cui sarebbe passato, e con cui avrebbe cambiato, la storia: Voltaire.
Torna in patria e grazie a Madame de Pompadour, che protegge anche Diderot, nel 1746 si guadagna un posto di lavoro fisso alla reggia di Versailles. Qui ha una storia con due donne: la prima lo tradisce ripetutamente, facendolo soffrire e gettandolo tra le braccia della seconda, ma la prima muore di parto dando alla luce il figlio di uno dei suoi tanti tradimenti, e ciò fa interrogare Voltaire sul senso della vita, riflessioni che si annota per quello che sarà poi “Candido”.
Il suo temperamento lo porta fuori rotta con i canoni del luogo, e decide di spostarsi altrove, in Prussia, dove è ben considerato dal re. Passa poi, dal 1749 al 1752, da Federico II re di Germania, e soggiorna a Berlino, ma per motivi di denaro e di lotte verbali con altri protetti del monarca, viene arrestato e imprigionato per un breve periodo a Francoforte.
Uscito da tutto questo si ritrova ad avere una personalità da illuminista e da pessimista, al di sopra di ogni cosa la ragione umana, senza mai dimenticare che tanto siamo solo uomini, e non ce ne facciamo un cazzo del nostro sapere quando la nostra vita o i nostri valori sono in pericolo. Questa sua filosofia di vita lo porta a scrivere di getto una serie di articoli, romanzi, pamphlet, che gli fanno guadagnare fama, ricchezza e rispetto da parte degli altri intellettuali.
Lavora sul “Trattato dell’intolleranza”, all’Enciclopedia di Diderot e D’alembert; per quest’ultima opera afferma la capacità dell’evoluzione del pensiero umano, la continua ricerca del sapere e la libertà limitata dell’essere umano, che non consiste nella mancanza di obiettivi o volontà, ma nel raggiungerli o soddisfarla. E’ per questo motivo che, secondo Voltaire, e secondo tutto il genere umano, “se l’Enciclopedia tra molti anni sarà ancora come noi l’abbiamo scritta, vorrà dire che abbiamo fallito”.
Torna in Francia, ed è accolto trionfalmente da tutti, tranne che dal re, da qualche nobile e dal clero, che Voltaire odiava con tutta l’anima. C’è però un fatto curioso, che denota forse ancora una volta il suo carattere di ambigua ironia, la stessa usata nel Candido (questo libro è una disperata ed esagerata confessione di amore verso tutto, perché tutto è bene, il mondo è bello, come affermano le correnti di pensiero del suo tempo, ed in particolare questo è il migliore dei mondi possibili; perciò Voltaire, autocontraddicendo la sua ironia, commenta: “Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri, come sono?”).
Questo fatto riguarda la sua conversione al cattolicesimo, di cui abbiamo le prove in un documento rinvenuto recentemente. Non si sa molto bene se e come sia avvenuta questa conversione, ma secondo una possibile ipotesi è accaduto per una paura del poeta, espressa anche in Candido: una sua cara amica d’infanzia è gettata e sepolta nelle fosse comuni, assieme ad altri cadaveri. Non riceve la giusta sepoltura perché in vita è un’attrice, e tutti gli attori e le attrici di quel periodo vengono scomunicati (sarebbe inutile spiegarne i motivi, dato che si sa che le scomuniche non hanno mai un senso logico), perciò sepolti alla bell’e meglio. Spaventato di fare una fine del genere, in quanto anche lui a rischio, decide di convertirsi e si assicura che il corpo venga posto in una bara al momento della sua morte.
La decisione arriva subito dopo aver avuto una forte emorragia, ma una volta rimessosi in pista lascia la Chiesa (tanto ormai è salvo) per il teatro. Ancora una volta si dimostra irriverente e dimostra soprattutto l’inutilità di certe operazioni burocratiche.
A 84 anni, il 30 maggio 1778, muore il primo vero grande intellettuale che ha saputo guardare e sputare in faccia ai grandi del suo tempo. Forse troppo arrogante e a torto in certe occasioni, e senza senno di poi possiamo dire che in alcune occasioni ha sbagliato; ma con la cultura di oggi, e sapendo ciò che è avvenuto dopo di lui, Voltaire è e rimarrà uno dei simboli della lotta contro qualsiasi sistema che fredda e ibernizza la condizione umana, illudendo con fiabe filosofiche e offrendo tiritere inutili fra nobili.
Voltaire ha cambiato la storia perché è stato il primo uomo che, una volta sveglio, non si è stupito di niente, ma ha cominciato a ridere a crepapelle per ciò che osservava. Nei suoi scritti ha raccontato barzellete che la gente avrebbe letto prima alterandosi, poi riflettendo, e infine divertendosi assieme a quel poeta, che la storia ha voluto fosse in un certo senso uno fra i primi comici intelligenti. Non il primo, questo no, ma lo è stato al momento giusto.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.