MARC CHAGALL – IL PITTORE ERRANTE ARRIVA A MILANO

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Fino al 1 Febbraio 2015 sarà possibile ammirare a Palazzo Reale a Milano la più grande mostra dedicata a Marc Chagall mai realizzata in Italia. L’evento si chiama “Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985”, curato da Claudia Zevi e da Meret Meyer, nipote del pittore. Scopo dell’esposizione è approcciare in maniera nuova il pittore russo naturalizzato francese, cogliendo la sua evoluzione artistica attraverso 220 opere. Queste arrivano direttamente dalle collezioni private degli eredi oppure dai musei più importanti del mondo come il Moma e il Metropolitan di New York, la National Gallery di Washington, il Pompidou di Parigi e il Museo Nazionale Russo di S. Pietroburgo.

La mostra di Palazzo Reale è rivoluzionaria in quanto cerca di cogliere la vera essenza del pittore. Si vuole capire come Chagall abbia profuso nelle sue opere le origini ebraiche e russe con le innovazioni delle avanguardie europee (cubismo e fauves su tutti) acquisite durante i suoi soggiorni a Parigi.

Il percorso è suddiviso in varie sezioni che riprendono le peregrinazioni del pittore: si inizia con gli esordi in Russia poi la prima esperienza parigina con rientro in patria fino al 1921; successivamente ancora il periodo francese intervallato con il soggiorno americano a causa dell’affermarsi del nazismo in Europa per infine chiudere con il soggiorno in Costa Azzurra.

Descrivere la mostra per intero è impresa impossibile, per questo ho deciso di descrivere le opere che mi hanno colpito di più durante la visita mantenendo la divisione temporale voluta dai curatori.

Marc Chagall nasce il 7 Luglio 1877 a Vitebsk, un paesino dell’odierna Bielorussia. La sua famiglia è di origine ebraica e si mantiene con lavori molto umili. Già in tenera età scopre la passione per l’arte, la pittura in particolare: confida alla madre, l’unica famigliare con cui ha un rapporto profondo e di dialogo, che il suo sogno è fare il pittore. Il padre non lo ferma nel suo desiderio ma neanche lo incita; gli ricorda che non ha soldi da dargli e che quindi dovrà “camminare con le sue gambe”. Il cammino di Chagall è già in salita ancora prima di cominciare. Studia pittura a Vitebsk presso Yehuda Pen per poi trasferirsi a San Pietroburgo alla scuola di Leon Bakst dove inizia ad entrare in una dimensione culturale e non tecnica dell’arte. È proprio in questo periodo che viene influenzato dal simbolismo russo, prendendo un’impronta che conserverà per tutta la sua produzione.

Nel 1911 Chagall si trasferisce a Parigi. Il mondo russo gli sta troppo stretto; sente il bisogno di andare nella patria degli artisti, dove la pittura è viva soprattutto nelle avanguardie. Prende un piccolo appartamento-studio nel quartiere di Montparnasse, il quartiere degli artisti: qui conosce esponenti del jet set culturale come Apollinaire, Delaunay e Léger. Grazie a queste amicizie, coltivate soprattutto nei bar dove si discute tra un bicchiere e l’altro, Chagall entra in contatto con Herwarth Walden, noto mecenate del tempo e organizzatore di mostre. In questa maniera Chagall può esporre prima a Parigi e poi a Berlino, guadagnandosi un po’ di fama e di rispetto nel mondo dei pittori. I suoi quadri trasudano tutta la nostalgia del pittore per il suo paese natale, reinterpretando il cubismo: rifiuta la “piattezza” e la poca cromaticità di Picasso e Braque; per Chagall la pittura esprime emozioni che possono essere riportate solo con i colori. Opere significative del periodo “Io e il villaggio” (1911) e “La presa di tabacco” (1912).

"Io e il villaggio"
“Io e il villaggio”

In “Io e il villaggio” Chagall espone tutta la mancanza verso Vitebsk, idealizzandola come un paesaggio bucolico. Dividendo la tela con le due diagonali il pittore mette di fronte gli uomini e gli animali, facendoli fondere in maniera armoniosa. Solo rispettando la natura si può ottenere una vita migliore, sfruttando i doni che la natura offre grazie al lavoro dell’uomo. Così si possono leggere la donna che munge sulla sinistra e i contadini in alto, con Vitebsk sullo sfondo. In basso al centro, l’albero, simboleggia l’idillio. Come detto sopra forte è l’influenza del simbolismo formale su Chagall come dimostra l’uso di immagini semplici dal forte valore evocativo.

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“La presa di tabacco”

Invece ne “La presa di tabacco” Chagall dipinge le sue radici, di cui mai se ne vergognerà e che difenderà anche nei periodi bui delle repressioni russe e tedesche: il soggetto è uno scriba ebreo. Se dai colori e dall’atteggiamento Chagall esprime l’umiltà dei suoi conterranei, dal gesto che ritrae eleva la rappresentazione. Infatti l’uomo sta scrivendo la Torah, la parola di Dio; per gli ebrei gli scribi sono importantissimi e degni di stima per questo loro compito: basti pensare che se durante la copiatura si fa un errore i rotoli vengono presi e sepolti, e la Torah ripresa a scrivere da capo.

Nel 1914 è costretto a tornare in Russia. Mentre si trova a Berlino infatti scoppia il primo conflitto mondiale: impossibilitato a tornare a Parigi fa ritorno a Vitebsk. Chagall spera di rimanerci per pochi mesi giusto per ottenere il visto per tornare in Francia; speranza quanto mai vana perché le frontiere vengono chiuse. Quello che doveva essere un breve periodo si trasforma in 8 anni. Questo esilio in patria permette a Chagall di compiere la definitiva maturazione. Dal punto di vista stilistico abbandona il cubismo e la sua scarsità di elementi per preferire delle tematiche più intime: ritrae se stesso, la moglie Bella (sposata nel 1915), la figlia Ida; ma anche Vitebsk (Chagall si sente chiuso in Russia e ha nostalgia di Parigi), i suoi famigliari e la comunità ebraica. Diventa un vero difensore dell’ebraismo avvicinandosi in maniera forte alle sue origini: rifiuta la propaganda antisemita russa e partecipa con trasporto alla Rivoluzione di Ottobre e al governo dei Soviet che rivalutano la posizione degli ebrei nella società.

Seppur incaricato di ruoli artistici e politici in Russia Chagall si sente stretto. Sente ancora il richiamo di Parigi, la città dell’arte. Non c’è solo oppressione però; c’è soprattutto gioia perché finalmente il pittore ha sposato la donna della sua vita, Bella. È il momento di massima felicità per Chagall e si può evincere anche da alcuni suoi quadri. I più belli e significativi a mio avviso sono “Il compleanno” (1915) e “La passeggiata” (1917).

"Il compleanno"
“Il compleanno”

In “Il compleanno” Chagall descrive una scena di vita domestica con una finestra che da su Vitebsk. Mentre l’esterno è grigio all’interno della camera c’è una felicità quasi trascendente. Seppur arredata in maniera semplice Chagall ha tutto ciò di cui ha bisogno, cioè Bella. Il pittore innamorato si eleva, si alza dal suolo e sconfigge ogni legge fisica per baciare l’amata. Da sottolineare la presenza del mazzo di fiori. Chagall ama molto i fiori e li disegna in molti suoi quadri; pensiamo però al fatto che a inizio ‘900 trovare dei fiori non doveva essere molto facile, soprattutto durante la guerra, quindi inserire dei bouquet serve per rendere ancora di più la sensazione di idillio e gioia.

“La passeggiata” è probabilmente l’opera più famosa di Chagall. Dominata da colori accesi e vivaci è il manifesto dell’amore per Bella. Sullo sfondo verde e rosa intravediamo Vitebsk con la sua chiesa; al centro domina Chagall con un sorriso smagliante: per mano ha Bella con un vestito color fucsia, molto acceso. Particolare il fatto che sia in aria e nel suo volo porta con sé il marito. È la massima gioia di vivere: Chagall ha raggiunto l’eternità in un istante e “sventola” la sua amata come un vessillo in un tripudio di felicità. In secondo piano notiamo ancora un elemento floreale (alto a sinistra) e una tovaglia con vino e bicchieri, tipici elementi del matrimonio in stile ebraico.

"La passeggiata"
“La passeggiata”

Come già stato detto Chagall dedica molti quadri al mondo dell’ebraismo da cui proviene. Si ritrova soprattutto nella figura dell’ “ebreo errante”, immagine mitica che descrive la diaspora caratterizzante la storia del popolo ebraico. “L’ebreo errante” (1923) rappresenta il tipico ebreo di umili radici della Russia di Chagall, dominato da colori scuri. Più simbolico è “Sopra Vitebsk” (1914) in cui è raffigurato un ebreo che vola sopra la

"Io sopra Vitebsk"
“Io sopra Vitebsk”

città: Chagall vuole dirci che lui è in continuo movimento, non ha dimora fissa; oppure che desidera volare via da Vitebsk per tornare a Parigi. Notiamo inoltre che tutti gli ebrei erranti sono raffigurati con un sacco sulle spalle: essendo sempre in viaggio nel sacco c’è tutta la loro vita e la loro identità; se lo portano sempre dietro per ricordarsi chi sono e da dove vengono.

Finalmente nel 1923 Chagall riesce a tornare a Parigi. Inizia a scrivere la sua autobiografia intitolata “Ma vie”, testo fondamentale da leggere se si vuole entrare nella mentalità del pittore. Sfruttando la fama precedentemente acquisita Chagall ottiene prima il compito di illustrare il romanzo “Le anime morte” di Gogol e poi nel 1926 “Le favole” di LaFontaine. È il periodo di maggior successo per il nostro pittore che espone anche a New York. Da buon ebreo errante gira l’Europa: Olanda, Spagna, Italia, Polonia e si reca anche a Gerusalemme e a Tel Aviv. Con lo scoppio delle seconda guerra mondiale e la diffusione del nazismo Chagall e famiglia sono costretti a fuggire dalla Francia. Il 23 Giugno sbarcano a New York.

"La caduta dell'angelo"
“La caduta dell’angelo”

Da buon artista Chagall aveva già profetizzato l’ascesa del nazismo in tutta la sua malvagità. In “La caduta dell’angelo” (iniziato nel 1923, continuato nel ’33 e ultimato solo nel ’47) il pittore dipinge tutta la sua angoscia, dovuta sia a motivi personali, come l’eterna sensazione di nostalgia, ma anche perché si rende conto che il mondo sta cambiando, in peggio. Chagall vede l’orrore in cui il mondo sta precipitando (visita il ghetto di Varsavia in quegli anni) e lo rappresenta con delle tinte forti e cupe. L’angelo è in caduta libera verso il basso (simboleggia il nazismo?) con le ali disegnate verticalmente, in segno che la discesa è irreversibile; anche l’uomo in alto a sinistra sta precipitando con le gambe all’aria. Non c’è solo sconforto però: ai lati vengono rappresentati la Torah (simboleggia la legge che è stata trasgredita) e Gesù in croce illuminato da una candela: Chagall è convinto che il messaggio che ha lasciato ha ancora valore e deve essere ascoltato di nuovo.

La genialità di Chagall sta proprio nell’aver capito la fratellanza tra ebrei e cristiani prima dei diretti interessati. Anche in “Crocefissione in giallo” (1942) viene testimoniato il dolore portato dalla guerra e dai totalitarismi, un dolore che accomuna tutti, non solo gli ebrei. Cristo viene disegnato non “alla occidentale” ma “alla ebraica”; non ha infatti il tipico perizoma. Inoltre è un Cristo “patiens”, sofferente. Se ai lati del quadro spiccano sofferenza e dolore, con la barca che affonda e uomini in fuga (con i loro sacchi) al centro Chagall apre la via per la gioia: c’è una scala che conduce alla Torah; non è la scala per togliere Gesù dalla croce, ma è la scala di Giacobbe che conduce al regno dei cieli, in un luogo privo di male. Chagall è geniale: in un quadro ha unito due religioni sotto l’unica insegna del perseguimento della felicità.

"Crocifissione in giallo"
“Crocifissione in giallo”

La fine della guerra mondiale è celebrata con gioia dal pittore che cambia anche le tonalità dei colori. Ne “La mucca con l’ombrello” ad esempio torna ad usare tonalità calde e a disegnare un enorme sole. Più riflessivo invece è “Resurrezione in riva al fiume” (1947) in cui Gesù domina la scena dall’alto e il fiume con i corpi delle vittime dell’olocausto prende il centro del quadro. Ancora una volta è importante il tema del ricordo: bisogna ricordare per non ripetere gli stessi sbagli se vogliamo dirla come Primo Levi.

Durante il soggiorno negli Usa l’adorata moglie Bella muore improvvisamente. Siamo nel 1942. Chagall è travolto da una crisi esistenziale, per 10 mesi vive in uno stato d’apatia, lontano dai cavalletti. A salvarlo è Pierre Matisse, figlio del celebre pittore che lo introduce nel mondo delle mostre e gli commissiona vari incarichi. Accanto alla pittura Chagall inizia anche lavori “più grossi”: i più famosi sono la realizzazione delle vetrate della sinagoga del Medical Center Hadassah di Gerusalemme (1960), la decorazione del soffitto dell’Opéra di Parigi (1963, su invito di DeGaulle) e la presentazione della vetrata “La pace” al palazzo dell’Onu di New York (1964).

A partire dal 1950 Chagall si trasferisce definitivamente in Costa Azzurra, a Saint Paul de Vence. Qui ritrova un po’ di serenità e si sposa con Valentina Brodskij il 12 Luglio 1951. La dolce “Vava” riesce a dare una nuova scossa all’artista che però non dimenticherà mai la tanto amata Bella.

Negli ultimi anni della sua vita oltre a realizzare i lavori sopracitati si appassiona allo studio della Bibbia. I lavori pittorici testimoniano il suo avvicinamento alla teologia, soprattutto all’ebraismo chassidico. Molti suoi quadri hanno come protagonisti dei galli oppure uomini con testa di gallo: nella religione ebraica alla vigilia dello Yom Kippur si fa roteare per tre volte sopra la testa un gallo gli uomini, una gallina le donne; è un rito di purificazione che apre alla riflessione ed a un esame di coscienza. È proprio quello che fa Chagall in Costa Azzurra: riflettere sulla sua vita.

"Il grande circo"
“Il grande circo”

Il pittore inoltre legge la religione con un punto di vista originale: il quadro “Il grande circo” (1984) è uno dei tanti lavori dell’ultimo Chagall dedicati al  mondo circense. In quest’opera vengono rappresentati saltimbanchi e acrobati dei quali è possibile dare una lettura più aulica: come la Bibbia eleva la mente e l’anima ad una dimensione perfetta, così rappresentare uomini che saltano e volano a mezz’aria diventa un simbolo per identificare l’elevazione spirituale.

Moishe Segal, meglio noto come Marc Chagall, muore il 28 Marzo 1985 nella sua casa nel Midi francese. Di lui ci restano moltissime opere che ci narrano la sofferenza dell’uomo e il tentativo di sconfiggerla in nome di ideale trascendenti la realtà umana. L’insegnamento che ci lascia è  intrinseco nel suo nome: Chagall infatti significa “andare oltre”, e l’uomo, qualunque cosa succeda, non deve mai arrendersi al destino.

Gabriele D. Dossi

 

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.