L’Italia in rivolta: analisi a sangue freddo

Questa conversazione è avvenuta alle prime luci del 13 dicembre, in un momento di calma piatta del nostro turno di lavoro.

Fabio: “Quindi ti sei interessato a queste manifestazioni…”
Io: “Esatto. Ho intervistato un po’ di persone, poi ieri sono anche andato a Loreto.”
Fabio: “Sì… e cosa ti hanno detto?”
Io: “Che vogliono far cadere il Governo. Vogliono andare al voto e non vogliono essere loro il nuovo partito. Vogliono che si faccia qualcosa realmente, senza che ci vada di mezzo il popolo per l’ennesima volta.”
Fabio: “Mh, ok. E dopo?”
Io: “Nel senso ‘dopo la manifestazione’?”
Fabio: “Esatto.”
Io: “…non lo so. Del dopo non ne parlano, sono interessati all’adesso. Loro vogliono che adesso finisca tutto. Dopo non so, immagino ci sia il comune pensiero di ricominciare da capo.”
Fabio: “E non è una manifestazione a difesa del protezionismo individuale?”
Io: “Beh c’è ben poco di individuale qui…”
Fabio: “Allora è una cazzata. Non porta a nulla. Quella è l’unica protesta che dovrebbero fare, se realmente protestano per qualcosa. L’Italia è nata ancora divisa, con Nord e Sud che sono da sempre due mondi diversi ed opposti. Se non vogliono difendere i loro interessi personali, ma unirsi per una lotta comune, è una protesta come un’altra destinata a dissolversi. E poi, non è fermando qualche macchina che cambi le cose.”
Come molte grandi storie, anche questa inizia con una banalissima domanda.
Io: “Quindi tu cosa ne pensi?”
E Fabio sfodera tutte le conoscenze, gli amici nei vari settori, le storie che ha a disposizione per tracciare un ritratto particolareggiato di una realtà Nazionale da sempre sottintesa, ma forse mai compresa fino in fondo.
Fabio: “Viviamo in una società competitiva, dedita all’innovazione e al progresso. Questa è una manifestazione che guarda al passato per affrontare il futuro.
Chi ora è nelle piazze vuole, a mio avviso, difendere il protezionismo dei loro piccoli interessi individuali: ognuno la sua impresuccia, azienduccia. Che si tratti di una rivolta generale, per andare al voto e far cadere il governo, è utopistico; non serve che piccoli imprenditori, agricoltori, autotrasportatori blocchino il traffico, perché tanto che cazzo te ne fai? Non hanno il potere economico delle grandi aziende. Se si fermano loro, è come se da un benzinaio che ha 6 pompe, una non gli funziona: vai dalle altre 5 e per quel giorno pazienza.
Poi certo, capisco la disperazione dei singoli, ma ci mancherebbe. E’ solo che viviamo in un mondo dove il Capitale vince su tutto, è il sistema vincente. Le realtà individuali che hanno vissuto del proprio sino ad ora, si ritrovano in questi anni con gli arti spezzati perché pensavano  unicamente a mandare avanti la loro Lobby, la loro piccola produzione. Non hanno mai pensato di mettersi insieme e formare una cooperazione, una di quelle Cooperative presenti nell’Emilia Romagna (a mio avviso, unica regione che ce la può fare nonostante la crisi, proprio per questo motivo). Quando ne avevano la possibilità, tempo fa, non lo hanno fatto: hanno continuato a puntare sui propri mezzi, pensare al proprio e al proprio soltanto, senza allargare gli orizzonti, aprirsi ad altre aziende, perché convinti che ce l’avrebbero fatta sempre.
Ti faccio un esempio: nel 1994 la Lega Nord ha finanziato i contribuenti che la votarono in quanto movimento creato da piccoli imprenditori in crisi. Il lavoro delle casse comuni di queste Lobby, poi sparse sul territorio ognuna per conto proprio, senza unirsi, puntò sulle Quote Latte che, importate all’estero, arricchivano la Germania e in prevalenza la Francia. Quando si trattò di pagare i conti e le multe nei confronti di alcune di queste Lobby, perché alzarono i prezzi provocando una concorrenza sleale nei confronti delle altre, si disse che dovevano pensarci i contribuenti, quei famosi contribuenti finanziati da Lega Nord; dovevano pagare loro, non la cassa comune dalla quale le Lobby attingevano e in cui riversavano il denaro, proprio per mancanza di una Cooperativa dedita a questo scopo, che avrebbe eliminato concorrenza sleale, imposto un prezzo base e permesso a tutti di vivere, non sopravvivere, senza creare conflitto di interessi all’interno delle aziende. Non è un tipico interesse di Lobby questo?
Conosco una persona che lavora nel settore agricolo, perciò ti parlo per esperienza diretta: Lui stava in un’azienda, una grande azienda, che faceva la grossista per i prezzi e le produzioni. Vedeva che su quel settore avevano il primato, mentre intorno piccoli agricoltori non avevano un tale potere di acquisto. Non ti sto parlando di un Monopolio, perché quello c’è ed è di Stato; ma in Emilia, ad esempio, dove esistono Cooperative che riescono a resistere alla pressione fiscale della produzione mettendo insieme i loro prodotti e costi di produzione, non stanno subendo la stessa crisi di chi non ha un potere contrattuale sufficiente ad opporre resistenza durante la crisi. Il processo andava avanti, mentre loro rimanevano ancorati ai loro piccoli interessi individuali, ai loro costi di produzione che nel frattempo si alzavano sempre di più a causa della tecnologia e della richiesta di mercato per soddisfare le entrare in guadagno.
La nostra è una società in agonia, dove chi ha dormito fino adesso, ora trova l’oblio. Il tipo di economia vigente è quella “Mediterranea”. Gli interessi produttivi, se tempo fa fossero state convogliate in cooperative, potevano davvero ottenere grandi guadagni: invece ci troviamo con arance coltivate nel nostro paese che costano di più di quelle importate perché sotterrate più a lungo, sfruttando il proprio terreno sino in fondo, senza fare contratti con altre casupole di produzioni locali e formare un sistema in grado di abbassare i prezzi e rilanciare l’economia di quel settore. Un settore in cui andiamo abbastanza forte è appunto quello ortofrutticolo. Nei paesi Nordafricani hanno scoperto il sistema d’irrigazione inventato in Sicilia, detto “a goccia”, che consente di irradiare l’acqua centellinandola per le varie coltivazioni. Non solo in Italia questo sistema non si è diffuso in tutte le zone, per la volontà degli agricoltori siciliani a mantenere il primato su quel settore economico a discapito altrui; ma anzi, Tunisia e Marocco hanno scoperto questo sistema allo stesso modo dei siciliani e per questo aspetto economico si sono uniti nazionalmente. Frutta e verdura da loro hanno costi di produzione bassissimi (al pari della vita media, che comunque a confronto dei prezzi e molto più vivibile che in Italia), come i costi sul mercato del resto. Ecco perché, al di là di quanto allo Stato piaccia mangiare, non la smette comunque di importare prodotti. Il declino è ciò che inevitabilmente ci attende, ma solo perché tutti non si sono uniti quando potevano.
A Sanremo, per farti un altro esempio, ci sono due grossisti sulla piazza. Impongono i prezzi tagliando le gambe di altri negozietti di ortofrutta. Capisci che una manifestazione così è solo l’indice di una rivolta del sistema piccolo-imprenditoriale italiano. Capisco la disperazione, ripeto. Come capisco le proteste di chi ad esempio si lamenta del prezzo di benzina e gasolio; però oramai non ha più senso, seguendo questa via non puoi ottenere nulla.
Quando scendo già verso la riviera ligure, ogni tanto, parlo con due pescatori della zona che conosco bene. Seguimi bene: un pescatore che si lamenta del costo del gasolio per andare in giro con la sua barchetta del cazzo, a mio avviso, ben gli sta. Perché? Ma perché non ha voluto annettere le proprie risorse produttive negli allevamenti, che ora sono praticamente il mercato del pesce per eccellenza in Italia, e firmare contratti su mercato e potere d’acquisto, in grado di garantirgli autonomia e sussistenza facendo il lavoro che sa fare meglio! Invece sono lì, con la loro barchetta appunto, a sopravvivere, perché non è vita quella. Ti alzi alle 3, 3 e mezza, 4 e mezza, torni a riva per vendere, poi in mare, poi torni a casa: la tua famiglia non esiste più per te in pratica. Non ce l’ho con loro a caso, ti dico solo una parola: branzino. Il branzino sai cos’è? E’ un pesce spazzatura. Nel senso che è onnivoro, mangia qualsiasi cosa e per questo può vivere e riprodursi in molte più zone di qualsiasi altro pesce. I pescatori da anni, anche questi due che conosco, li vedi al mattino presto con trenta/quaranta chili di pesce ogni tot tempo. Tutti branzini. Li fanno pagare 30€ al chilo, ancora da sviscerare, e vendono solo questi da più di dieci anni. Prima pescavano anche altro, ma con gli allevamenti i costi sono diventati alti per produrre la stessa quantità di pesce settimanale che il produttore di allevamento ti può fare in mezza giornata. Perciò hanno ripiegato sul branzino, più facile da reperire in maggior quantità. Non è un gesto di ignoranza, perché indica che le conoscenze del loro mestiere ce le hanno e anzi che sapevano a cosa andava incontro il progresso nel settore della Pesca.
In sostanza, io credo che sia una protesta confusa basata su realtà imprenditoriali che non si sono attivate prima, ma hanno sempre fatto i loro interessi e ora piangono. Lì, come in Università: anche qui dove sei tu, dove sono io, la burocrazia è diventata tale che per spillare soldi in pochi anni siamo passati a tasse più alte, due lauree ben separate e da pagare in maniera differente anziché il percorso quadriennale che racchiudeva un’unica tassa. per dare a uno studente un libro che ho sullo scaffale dietro di me, ho bisogno di un modulo, di un computer, di una stampante, di un badge che mi dice che questo studente, se registrato, ha pagato le tasse, e solo dopo tutto questo posso fare il semplice gesto di girarmi, prendere un libro, e darglielo.
Siamo in declino, questo penso. Protesta o meno.”

Al di là di tutto, vorrei chiudere questo discorso con una frase che, ripensando a tutto quello che è successo questa settimana, mi fa riflettere ogni volta che la pronuncio mentalmente.
“E’ una manifestazione che guarda al passato per affrontare il futuro.”

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.