L’anarchico e religioso Faber

Che De Andrè fosse anarchico lo sanno tutti, da quelli di destra dediti all’economia, alla politica del bel pensiero e al ricordo di un fascio che “se torna tale e quale al tempo di Mussolini, cosa si starà bene!”, a quelli di sinistra intellettualoidi e vaganti fra piazze e strade citando a caso ora Majakovskij, ora Nietzsche (fa niente che non prediligesse per nulla la classe operaia e fosse per il divario fra nobiltà e popolo in quanto giusto e regolatore dell’etica del vivere; tanto non appena vedono la parola ”nichilismo”, la cercano su wikipedia, leggono due righe e pensano sia il motto del Superuomo Hulk nell’ambito della distruzione totale), ora Che Guevara con tanto di maglietta indicata alle telecamere che li riprendono durante qualche protesta.

Proteste che partono sulla base di ottime idee e obiezioni e finiscono con una gara a chi si fa più vedere, e vedi in giro una decina di miniHulk che distruggono tutto e che dicono VIVA IL CHE. Ma va beh, questo è un altro discorso.

Tornando a De Andrè, ciò che secondo me si ignora del suo lato anarchico è che esso non è un lato, ma una totalità nel suo pensiero. E ho voglia di chiamarlo “filosofia”, questo pensiero.

La sua totalità va ad evidenziare il motivo per cui, forse, è più ascoltato dalle persone che vogliono riflettere, pensare ed hanno voglia di vedere il mondo sotto nuove forme, anziché da quelle che vogliono un Vasco e un Ligabue che dica loro ”Eeeh, è così, cosa vuoi che sia o ti dica, va come deve andare”, aspettando un tuo retorico “sì, quanto è vero!”.

No. Non è vero, ma la quantità c’è, e si sposta su quella che chiamo ”Apologia della merda”: puzza, è cibo già masticato ed espulso dal tuo organismo, ma se non c’è altro cibo me la mangio. Insomma, la risposta parafrasata di chi messo alle strette ti dice ”sempre meglio di certo schifo che si vede in giro”. Ed è il discorso che fanno molti ipocriti che si vergognano delle loro idee, gusti musicali, credo religiosi e politici, ecc. Che poi Morandi abbia preso sul serio questa Apologia, anche quello è un altro discorso.

De Andrè è anarchico nella religione, questo è il motivo fondamentale per cui avviene quello che ho scritto nel paragrafo sopra. Nel “Testamento di Tito” egli parla, o meglio, fa parlare uno dei due ladroni che vengono crocifissi dalla Legge Romana assieme a Gesù di Nazareth, e viene espresso il suo punto di vista attorno ai Comandamenti. Un ladrone, che ha commesso un reato, come punizione sta ricevendo la morte accanto a quello che si proclama ”Figlio di Dio”, inchiodato come lui a due pezzi di legno, stanco e distrutto in egual modo all’esterno e all’interno. E allora comincia a domandarsi quale sia la differenza fra lui, quel Nazareno, un eventuale Dio che tutto sa e tutto può, e altri dei sparsi nel mondo. Immobile, tutto. Lui e il Nazareno sulla croce, dal cielo e dalla terra nessun segnale (dopo la morte di Gesù vi saranno eccome dei tumulti, ma per ora ancora nulla), e gli Dei che tacciono. Qual è questa differenza?

E quel messaggio divino? Entrambi lottavano non per amor proprio, per rivaleggiare sugli altri, ma per amor di sé, ossia per la sopravvivenza: il ladrone per non morire, il Nazareno per non far morire. Soltanto che il primo agiva rubando, infrangendo le leggi romane, ma rispettando la legge naturale, in un certo senso il suo credo; l’altro agiva attraverso le parole, le teorie, e le utopie. Quale differenza vi è fra Pratica e Teoria, se il fine è lo stesso, ossia vivere umanamente in libertà e pace?

Le stesse cose se le chiedeva anche il Blasfemo dell’omonima canzone di De Andrè, pestato a sangue da due guardie dell’Inquisizione per aver pensato e detto che Dio ingannò Adamo, facendolo vivere tanto a lungo nell’Eden da illuderlo di poter essere davvero felice. Si chiede come avrebbe potuto esserlo se nemmeno lì c’era la Libertà: il divieto di non mangiare la mela parla chiaro, e agli occhi di quest’uomo con le ossa rotte Dio non è giusto, e non lo è mai stato perché è toccato all’uomo capire cosa è Bene e cosa è Male. Ammesso che si possa sapere, o leggere nelle pozze formate dal suo sangue.

E poiché quello è un divieto imposto da chi è sopra di noi in tutto, figurarsi se quaggiù fra gli uomini non ce ne siano una moltitudine ad imitare l’intento divino di togliere la Libertà di ogni cosa, pur di far imporre la volontà pochi uomini a molti.

Ed è proprio qui che viene a coincidere l’Anarchia politica con quella religiosa. De Andrè voleva la libertà dell’uomo nella forma di un’utopia che sapeva benissimo non esserci nel mondo degli esseri umani. Ma questo concetto di dominio, di tanti o uno sopra altrettanti e tutti, non gli è mai piaciuto. Perciò la sua anarchia religiosa consiste nell’avere un Credo di libertà, giustizia ed eguaglianza fra tutti gli uomini, con uno spiccato senso dell’humor nell’evidenziare le esagerazioni delle passioni umane.

Insomma, non vi è nessuno sopra gli stessi pensieri che pronunciamo riguardo al bene personale e comune; e se certi pensieri posso realizzare quei beni, lui era convinto che si dovessero attuare in ogni forma possibile, perché tanto non avrebbe arrecato danno a nessuno. Ed invece, la storia gli ha dimostrato che queste idee hanno arrecato più danni di quanto bene hanno fatto, portando il male a chi le pensava o le proncunciava, da semplici uomini a Dio sceso in terra.

Perciò la sua anarchia è più un’autonomia di pensiero sul non voler credere a qualcuno al di sopra di noi tutti, ma a credere in certe idee di benessere mondiale. Che poi queste idee le abbiano pensate divinità o esseri umani, per lui non faceva alcuna differenza, l’importante era che si pensassero. L’importante è pensare.

Almeno, io così la penso.

E credo.

 

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.