Gli eroi son tutti giovani e belli?

Perseo raffigurato nella sua costellazione: la stella più luminosa è Algol, termine arabo che vuol dire letteralmente "la testa del mostro".
Perseo, l’uccisore della Gorgone, raffigurato nella sua costellazione. La stella più luminosa è Algol, termine arabo che vuol dire letteralmente “la testa del mostro”.

 

Una canzone molto famosa di Guccini, “La Locomotiva”, comincia così:

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l’immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli.

Il concetto di eroe qui espresso è ciò da cui si potrebbe partire per delineare come si è evoluta fino ai giorni nostri la tematica dell’Eroe. Tralasciando il bellissimo testo di questa poesia cantata, l’immagine che ne delinea Guccini è evidente: un ragazzo di bell’aspetto di cui non si ricorda nulla, ma con la sua mente è in grado di dipingerne un ritratto che rispecchia il suo concetto di bellezza ed eroicità. L’importante per lui è proprio questo, visualizzare l’essere umano che ha fatto qualcosa di straordinario, semplice o complesso che sia stato, e che ha saputo stupire e smuovere gli animi.
L’etimologia del termine Eroe ha origine proprio nell’idea pura di forza, audacia, potenza a sé stante in grado di resistere agli urti del divenire vitale e di opporsi al mondo. L’equazione per riconoscere nell’antichità un soggetto come eroe è identica a quella che anche noi oggi utilizziamo: le sue azioni straordinarie per un bene comune devono essere equivalenti alle aspettative della gente che quel bene, se realizzato, possa giovare a tutti; nel caso il soggetto debba sacrificare qualcosa, compreso se stesso, sarà ancor più glorificato come modello ideale di azione perfetta. Perché etimologicamente è proprio questo che vuol dire eroe: deriva innanzitutto dal greco antico Hieros, “realtà potente”, forza esercitata da un essere umano e concessa dalle divinità per agire nel mondo mortale. Il gesto eroico si idealizza nell’immaginario collettivo come immutabile e perfetto poiché quell’evento, irripetibile per definizione, perdura nella memoria una volta consumato. L’eroe è succube della mortalità e del cambiamento della vita, ma le sue gesta sono ciò che testimoniano la sua forza, la realtà che ha saputo creare e cambiare attorno a sé.
I greci, che potevano vivere sulla loro pelle la morale descritta nelle opere di Omero, si soffermavano appunto più sulle gesta e sulla narrazioni di esse che all’eroe in questione. Ercole e Achille non erano solo meri oggetti di racconti fantastici o di prodotti utilizzati a beneficio altrui, come oggi potrebbe essere una maglietta con su Che Guevara o Steve Jobs che dimostra solo e soltanto l’uomo in quanto essere, non in quanto agire. Gli eroi antichi servivano per idealizzare il concetto delle loro azioni e farne una morale, un corollario di leggi tese ad un bene comune: agirono così perché era cosa buona farlo, perché gli Dei avevano voluto così, e se non sono stati fermati è perché furono nel giusto. Platone, il primo filosofo a creare un concetto filosofico attorno alla figura degli eroi, scriveva questo nelle sue opere. Erano uomini mossi da hazesthai, un verbo che indica la paura di incombere nella ferocia divina se non avessero agito per il bene; ed era al tempo stesso il timore reverenziale che chiunque, al loro cospetto, avrebbe provato, poiché essi agivano secondo la morale dell’epoca, ossia per volere divino. Gli Dei avevano infuso il loro volere in questi uomini, rendendoli straordinari, ed ecco che la religione viaggia di pari passo con la concezione di Eroe nel mondo greco.
Nel nostro tempo non va più di moda il cosiddetto “buon samaritano”, perché semplicemente annoia, o ci ricorda un avvenimento non più straordinario in quanto non se ne percepisce la forza, il vigore dell’atto. Insomma, farsi giustizia con la spada accende gli animi molto di più che farsela con un crocifisso o col una statuina del Buddha fra le mani.  Più semplicemente, questo fatto si può spiegare con la banale frasi “la gente cambia”. La morale si filtra attraverso le generazioni e le epoche storiche, e si sposa perfettamente col bisogno storico. Se nell’antica Grecia faceva commuovere una preghiera agli Dei per la vittoria in una battaglia (nel senso etimologico del termine “muovere con, spingere l’anima verso qualcosa/qualcuno”), nel Rinascimento faceva commuovere un essere umano che dava la vita per la politica giusta nella propria città, nell’Età Moderna faceva commuovere un uomo spinto da valori di resurrezione della perduta patria, oggi fa commuovere una persona che s’immola per fermare una guerra da qualche parte. La morale, dunque, non coincide con i termini tradizionali della religione, ma al tempo stesso agisce a livello spirituale sulle persone, e sulla nozione di chi identificare come eroe e chi no.
Il concetto classico che descrive la figura dell’Eroe dalla Grecia è appunto quello citato nei primi versi della “Locomotiva”: kalòs kai agathòs, cioè bello e buono. E’ importante sottolineare come anche questo coincida con il connubio fra eroe, religione e morale: l’obiettivo di ogni sorta di pratica religiosa è quello di ottenere il Bene Supremo, che non necessariamente deve trovarsi in questa vita, ma attraverso la Fede possiamo sperare di giungere ad esso nel regno dell’Aldilà, o con il Nirvana, o con una rigida e scrupolosa osservanza delle leggi sacre. Qualunque sia la religione di cui vogliamo trattare, il punto nevralgico sta proprio nel porre come obiettivo finale la felicità, la bellezza di un Regno dei Buoni, nel Bene Assoluto. L’idea massima e pura di tale concetto è riprodotta nell’arco della vita proprio dai gesti di persone che la gente riconosce come Eroi, nel caso facciano opere e azioni ritenute buone e giuste. In ciò sta l’introduzione dell’essere umano, classificato così come migliore fra gli altri uomini, nel mondo spirituale che l’Umanità tende a porre sul piedistallo, come memoria perfetta di ciò a cui ognuno dovrebbe ambire e di ciò che serve ed è necessario fare per far parte di un bene comune. Questi sono elementi tipici che la religioni richiama dall’alba dei tempi, e che l’Uomo ricerca costantemente anche nella sua realtà, nell’agire di uomini straordinari, da venerare quasi come Dei, nel senso stretto di esseri migliori di loro.
Gli Eroi, dunque, sono da sempre necessari per ricordarci che noi, come esseri umani, dobbiamo sempre puntare ad un bene maggiore, quello comune. E se noi siamo credenti o atei non deve comunque avere niente a che fare con quest’idea di Bene Supremo, in quanto è ciò che ci serve per migliorare le nostre vite. In quanto abbiamo bisogno di persone, di Eroi, che ce lo ricordino, oggi come mille e mille anni fa.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.