Giuseppe Maggiolini: l’Arte dell’Intarsio

Nel bicentenario della morte di Giuseppe Maggiolini, ebanista parabiaghese di fama internazionale, l’Amministrazione Comunale di Parabiago e la Fondazione Carla Musazzi celebrano l’artista che con le sue opere si è fatto conoscere in tutto il mondo. Una straordinaria parentesi nel mondo dell’intarsio, della lavorazione del legno e della creazione di mobili che sono autentici capolavori.

Locandina della mostra di Giuseppe Maggiolini a Parabiago.
Locandina della mostra di Giuseppe Maggiolini a Parabiago.

La mostra è situata nella sua città natale, a Palazzo Maggi Corvini, in via Santa Maria numero 27: si tratta, fra l’altro, di uno dei palazzi storici più importanti della città. Qui sono contenuti alcuni cassettoni, mobili, orologi, portaspilli, costruiti e decorati splendidamente dalla grande maestria del Maggiolini. Una delle opere principali contenute nel Palazzo è stata valutata 2,5 milioni di euro: è solo un esempio della grande importanza che quest’artista ha avuto (e tutt’ora ha) nello scenario dell’arte italiana. Ma che cos’è, esattamente, la tecnica dell’intarsio. E soprattutto, chi era Giuseppe Maggiolini?

L’intarsio (altrimenti detto “tarsia“), consiste nel lavoro di unione di minute tessere di legni diversi, tagliati e disposti in modo che, con la loro forma e con la varietà della loro tinta, si possano ottenere effetti policromi corrispondenti al disegno prestabilito, o dall’intarsiatore stesso o su disegno eseguito da terzi. Può essere eseguito su legno massiccio o su legno impiallacciato (ossia levigato tramite la pialla). La tarsia in legno ha avuto origine da quella in pietra e in marmo: un esempio celebre, per intenderci, è quello del mosaico.
Utilizzata nell’antichità per decorare piccoli oggetti ed impreziosire mobili, una delle prime tecniche vere e proprie risale al Medioevo, prendendo il nome di “Intarsio alla Certosina” poiché praticato dai frati dell’ordine dei Certosini.
Nel XV secolo si diffonde in Italia, specialmente in Toscana, la tecnica della “tarsia pittorica o prospettica”. La raffigurazione viene disegnata su un cartone, poi ritagliato in vari elementi lungo i contorni delle sagome: queste, sovrapposte alle lamine lignee in qualità diverse, vengono tagliate tramite un seghetto a “traforo”. Le sagome così ottenute si accostano ed infine si incastrano su una superficie lignea di base, procedendo così alla ricostruzione del disegno prestabilito.
Dimenticata sino agli inizi del Settecento (anche a causa del tempo e della pazienza che occorrevano per produrre poche e bellissime opere), la tarsia torna in scena proprio in questo secolo, grazie ai piemontesi Pietro Piffetti e Ignazio Revelli. E soprattutto, grazie al lombardo Giuseppe Maggiolini.

La "Prima Bottega" dell'ebanista parabiaghese Giuseppe Maggiolini.
La “Prima Bottega” dell’ebanista parabiaghese Giuseppe Maggiolini.

L’intarsiatore di Parabiago nasce nell’omonima città il 13 novembre 1738, da Caterina Cavalleri e Gilardo Maggiolini. Il padre lavora presso i Cistercensi ed è l’uomo di fiducia del Marchese Cosimo Cesare Moriggia. 
Proprio nel Monastero in cui si trova il padre, Giuseppe viene educato insieme al fratello Carlo, di soli tre anni più grande. Il piccolo Giuseppe impara da un certo Calati di Canegrate le tecniche principali della falegnameria. Terminati gli studi, nel 1757,  inizia la sua attività nella bottega accanto alla chiesa dei Santi Gervasio e Protasio; nello stesso anno, si sposa con Antonia Vignati, ventinovenne di Villastanza. Con lei ha il primo figlio, Carlo Francesco, nato nel 1758; nel 1764 gli nasce il secondo, Giovanni Gerardo.
Nel 1765 Giuseppe conosce il pittore Giuseppe Levati, che gli commissiona un canterano per la sua villa di Lainate. Inizia anche in questo modo una collaborazione: Levati disegna le opere che poi il Maggiolini riproduce, per soddisfare le svariate richieste delle maggiori famiglie aristocratiche della zona.
Nel 1771 il Marchese Moriggia incarica Maggiolini alcuni lavori per i festeggiamenti del matrimonio del governatore della Lombardia, l’Arciduca Ferdinando. È il suo momento: prende il via una fortunatissima stagione di commissioni per la corte arciducale di Milano. Proprio qui apre una seconda bottega e conosce l’architetto Giuseppe Piermarini, col quale stringe una grande amicizia.
Lavora senza sosta nella realizzazione di arredi e pavimenti lignei per il Palazzo Reale di Milano, la Villa Reale di Monza e per il palazzo milanese del Moriggia. Per le opere che vengono situate nella residenza dell’Arciduca, Giuseppe Maggiolini viene insignito del titolo di “Intarsiatore delle Loro Altezze Reali”: ormai tutta l’Europa, come Benvenuto Cellini in epoca rinascimentale, conosce i lavori dell’artista parabiaghese. Nonostante questa fama e i grandi successi, la passione vince sulla ricchezza e il grande prestigio con cui viene ricoperto dai grandi aristocratici del ‘700: continua infatti, nelle sue due botteghe, a produrre e vendere anche oggetti di uso comune, per nulla commissionati o richiesti da qualcuno d’importante, ma solo per la gente a cui poteva servire un orologio, una sedia o un mobile qualsiasi.
Ciò non toglie che Maggiolini, con tutta la ricchezza ottenuta, sia ormai diventato un imprenditore. Investe i suoi soldi nei terreni intorno a Parabiago (alcuni documenti sono esposti a Palazzo Corvini). Si circonda di collaboratori per moltiplicare la manodopera , richiesta con assiduità dalla nobiltà nostrana ed europea.
Il 1796 è un anno cruciale per Giuseppe. Muore a soli trentadue anni il suo secondo figlio, Giovanni Gerardo; inoltre, gli Austriaci lasciano la Lombardia, poiché il potere passa nelle mani della Francia. Questo significa che i suoi vecchi committenti si sono volatilizzati e il suo istinto gli dice che deve cambiare l’impostazione del suo lavoro. Nel periodo del Direttorio, dal 1796 al 1799, costruisce un gran numero di opere ispirate allo stile imperiale, ma i Francesi non apprezzano il gusto dell’intarsiatore italiano: assumono un differente atteggiamento nei confronti dei precedenti aristocratici e non comprano, né gli commissionano quasi nulla.
Termina così il rapporto di Maggiolini con la corte milanese, spiazzato da un contesto storico che su due piedi ha deciso di screditare decenni di magnifico lavoro. Torna alla sua bottega di Parabiago, dove lavora continuamente sino alla sua morte, il 16 novembre 1814, tre giorni dopo il suo 76esimo compleanno. La bottega passa nelle mani del figlio Carlo Francesco e del giovane e promettente allievo Cherubino Mezzanzanica. 

La famosa bottega del Maggiolini è visibile ancora oggi. Dal 1938 vi è apposta un’epigrafe commemorativa del grande artista che rese famoso il suo nome, il suo lavoro e la sua città per un intero secolo.


Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.