Orfeo, cantore dell’Amor Perduto

Orfeo (VIII a.c)

Protagonista di una delle storie più romantiche del genere umano, figura mitologica dalla dubbia esistenza e dopo la grandissima delusione d’amore avuta da Euridice, giurando di non amare più nessun’altra, diventa il primo omosessuale dichiarato della storia dell’umanità (ok, in Grecia persino nei miti c’era questa enorme ambiguità fra bisessuali e omosessuali, gli eterosessuali veri erano pochi, ma sì, molte persone che hanno cambiato il mondo erano dell’altra sponda, ma omofobici non temete, tratteremo solo la sua storia secondo il mito.)
Data la sua avventura nel regno dei morti, si pensa che Orfeo provenga dalla Tracia, una terra misteriosa in cui, come testimonia ad esempio Erodoto, esistono sciamani che fungono da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci di provocare uno stato di trance tramite la musica. Si pensa perciò sia figlio di un sovrano tracio (o di Apollo) e della Musa Calliope, e che abbia come figlio/allievo Museo, altro grande poeta greco forse mai esistito.
Fonde inoltre i concetti elementari di apollineo e diosiniaco: benefattore degli umani, eroe culturale, al tempo stesso comprende perfettamente la natura, i suoi meccanismi e gli istinti più selvaggi, oltre che essere dotato di un’ottima conoscenza intuitiva.
Su Orfeo il famomissimo mito di Euridice sfocia in varie interpretazioni. Partiamo con la letteratura.
La figura del cantore si pone in contrasto con i due Dei citati sopra, ovvero Apollo e Dioniso, a proposito della perdita di Euridice. E’ colpa di Orfeo perché per ottenere il controllo sulla natura si serve di un potere lecito solo ad Apollo; è colpa di Orfeo perché, tornato dagli inferi, smette di adorare Dioniso rinunciando all’eterosessualità e inventando per la prima volta (appunto) il concetto di amore omosessuale, e lo insegna ai Traci, ma le baccanti si vendicano assalendolo e facendolo a pezzi.
Secondo la mitologia classica, Orfeo partecipa alla spedizione degli Argonauti e salva i compagni cantando e coprendo la voce delle sirene. Ma il più famoso mito su di lui è, ovviamente, quello della Ninfa Euridice.
Uno dei figli di apollo continua a stare addosso ad Euridice per farci del buon sesso, ma lei, mentre sta scappando, mette il piede su un serpente e il suo morso la uccide. Così Orfeo va nel mondo degli inferi armato di lira. Raggiunge lo Stige e incanta Caronte con la sua musica, e allo stesso modo Cerbero proseguendo il cammino. Arriva alla prigione di Issione (in passato ha desiderato Era e Zeus lo punisce legandolo ad una ruota che girerà all’infinito) e supplica il cantore di alleviare la sua pena; Orfeo cede per pietà e suonando la lira ferma per un po’ la ruota.
L’ultimo ostacolo che gli si presenta è una genialata made in Grecia: La prigione del semidio Tantalo, che uccise il figlio per dare la sua carne agli dei e che rubò l’Ambrosia per darla agli uomini. Tantalo è condannato a un terribile supplizio: legato ad un albero, immerso fino al mento nell’acqua e con dei frutti che crescono proprio sopra di lui. Purtroppo per il semidio, l’acqua, ogni volta che Tantalo cerca di berla, si abbassa, mentre i frutti appesi ai rami, ogni volta che cerca di prenderli con la bocca, si alzano. Tantalo chiede quindi ad Orfeo di suonare la lira per far fermare l’acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, rimane tormentato.
Orfeo si trova davanti 1000 scalini, è al centro del mondo oscuro, dove i Demoni sono sorpresi di vederlo. Incontra Ade e Persefone. Il Dio sta dormendo, ma Persefone è sveglio e lo fissa gelida. Orfeo, per addolcirla, suona una musica bellissima, che le fa ricordare il periodo in cui era felice sulla terra e di quando arrivò Ade per rapirla e sposarla negli Inferi. Commossa, Persefone viene a conoscenza del piano di Orfeo, e acconsente a lasciare andare la Ninfa, ma ad una condizione: Orfeo la precederà per tutto il cammino, sino alla porta dell’Ade, e non si dovrà mai voltare (una bellissima lezione greca sulla fiducia). Ma arrivato esattamente sulla soglia degli Inferi, e non potendo più resistere al dubbio che Euridice sia dietro di lui, come gli fa dire Pavese in prima persona, in un bellissimo racconto contenuto in ”Dialoghi con Leucò”, <Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi “sia finita” e mi voltai.>
Ciò che vede è il volto disperato e deluso di Euridice, le sue mani protese verso il cantore che, svuotato di ogni emozione e certezza, morto nell’anima, la vede ritornare nelle Tenebre per l’eternità. Da quel momento Orfeo si rifiuta di cantare e di essere felice, offendendo le Menadi, seguaci di Dioniso, che lo uccidono, lo squartano e se ne nutrono. Il corpo è seppellito dalle Muse ai piedi dell’Olimpo, la sua testa nel tempio di Apollo a Lesbo e la sua lira finisce in cielo, dove forma una costellazione.
Un’altra versione differisce solo nel finale: ad accompagnare i due all’uscita dagli Inferi è Hermes, messaggero degli dei. La genialata è che solo Orfeo e Hermes sono a conoscenza del patto stipulato con Ade (in questa versione il Dio è sveglio), che riguarda appunto il non voltarsi fino alla fine; perciò Euridice continua a chiamare il cantore e mentre lei crede che l’amato non si volti a causa della propria bruttezza, lui, soffrendo tantissimo, non può ancora girarsi.
Giunto alla fine e uscito dagli Inferi, Orfeo può finalmente voltarsi per vedere la sua amata Ninfa, ma qui c’è il colpo di scena; Euridice, che ad un certo punto, intristita, smette di chiamarlo, si è attardata per un dolore alla caviglia causato dal morso di quel serpente che l’aveva uccisa. Così Hermes deve considerare come trasgredita la condizione posta da Ade, e Euridice, giunta sulla soglia degli Inferi, ma non potendo proseguire oltre, capisce il perché di tutto, e sussurra ad Orfeo <Grazie, amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi per salvarmi>. I due si danno la mano sulla linea dei due mondi, sanno che è l’ultima volta che si vedranno; l’altra mano di Euridice è tenuta da quella di un Hermes commosso, col volto triste già rivolto verso le Tenebre. Il Dio e la Ninfa scompaiono nel buio, e la disperazione di Orfeo raggiunge il culmine; decide di non desiderare nessun’altra donna dopo di lei, ma un gruppo di Baccanti ubriache lo invita ad un’orgia dionisiaca. Il cantore accetta, ma tiene fede al patto stipulato con sè stesso. Le Baccanti, infuriate, lo fanno a pezzi e lo gettano in un fiume assieme alla sua lira; la testa cade proprio sulla lira, e galleggia continuando a cantare meravigliosamente. Zeus, commosso, decide di prendere la lira di Orfeo e di farne una costellazione.
Questi due miti, mescolati assieme, formano una storia destinata ad essere tramandata in tutte le salse fino ai giorni nostri, affascinando il lettore ogni volta, come se fosse la prima.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.