L’Italia in rivolta: appunti da Mazzo di Rho

Arrivo alla biforcazione della Statale che porta alla rotonda per Pero-Milano e le varie Autostrade con un mio amico, siamo in macchina. Parcheggiamo accostando il marciapiede vicino ad uno spazietto verde, dove sono state messe altre autovetture. Scendo dall’abitacolo con il mio zaino e mi addentro nella manifestazione.
Come prima cosa noto alcuni individui (una signora, qualche ragazzo e un uomo non più giovanissimo) che fanno rallentare le automobili per dare dei volantini.

Il volantino-manifesto della protesta.
Il volantino-manifesto della protesta.

Ci sono degli striscioni appesi lungo i cordoli metallici della strada, con su scritto che alle 21 su La7 la trasmissione “La Gabbia” avrebbe fatto vedere la protesta anche dal punto di vista di Rho, perché il giorno prima un inviato era stato lì a riprendere con le telecamere e ad intervistare qualcuno.
Poco più in là, in un altro spazietto verde in mezzo alle corsie, noto delle tende, lunghi tavoli sui quali probabilmente i manifestanti consumano i loro pasti e degli uomini che quasi urlano contro alcuni addetti alla viabilità delle strade. Parlavano del fatto che i manifestanti volevano occupare anche quello spazio di terreno, quando invece il presidio era autorizzato solamente lungo una rotonda cento metri più in là, sulla salita per imboccare Varese-Como, Malpensa, Pero-Milano, la A4 e la A9.
Io e il mio amico saliamo verso questa rotonda. Ci accorgiamo subito del freddo e del fatto che la strada è ghiacciata. Arrivati in cima vediamo i manifestanti ai lati di quattro corsie, due che portano verso Rho-Pero-Malpensa e altre due che portano verso le Autostrade. In totale le persone sono circa 40, armate di bandiere, cartelli, protezioni per il freddo, fischietti, zaini per l’indispensabile da consumare durante la giornata. All’inizio sono sospettoso, perché mi sembrano solo ragazzi abbastanza annoiati che vogliono manifestare un po’ a caso. Inizio così a parlare con un po’ di loro, e a vivere quello che da due giorni vivono sulla strada.
L’organizzazione della protesta consiste nel bloccare il traffico per venti minuti a intervalli quasi regolari di mezz’ora. Ci si mette in fila o a gruppi lungo le quattro corsie (divise fra loro, i due gruppi di protesta sono distanti circa quaranta metri) bloccando letteralmente il passaggio delle macchine. Alcuni strombazzano con i clacson, un paio di persone riescono a svincolarsi dal traffico di macchine e carne perché sono in moto. Dopodiché, durante il blocco si inizia a girare tra quell’ammasso di ruote per mostrare il volantino, chiedere alle persone bloccate nel traffico se volessero scendere a protestare almeno per quei venti minuti, perché tanto nessuno si sarebbe tolto di mezzo. C’è persino un ragazzo in bicicletta che pedala intorno alla zona anche quando il blocco non c’è, con i volantini o con la bandiera dell’Italia. Durante il blocco si fanno passare le ambulanze e, ascoltando la voce di chi sta in macchina quasi uno per uno, le persone che hanno veramente urgenza a togliersi da lì. C’è chi si lamenta del blocco, come un uomo che voleva tornare a casa a tutti i costi perché la moglie stava preparando la cena per vedere il Milan: l’individuo si avvicina furioso dai poliziotti (sì, i poliziotti ed i vigili camminano tra i manifestanti cercando di controllare la situazione, giusto per routine, in quanto presidio autorizzato; io stesso, mentre scrivo e prendo nota di tutto, scrivo sul cofano della loro auto, con tanto di sirena accesa). Essi gli dicono che il blocco è alterno, dura venti minuti ogni mezz’ora, e di aspettare tranquillamente perché “basta che chiama un attimo a casa e mangia più tardi no?”
Parlo poi alle persone che sono presenti alla manifestazione. Gli faccio la domanda cruciale, quella che tutta l’Italia si fa e che crea continui dubbi sul moto di protesta. “Voi siete legati a movimenti politici? Ho sentito che Forza Nuova e Forza Italia guidavano queste rivolte, è vero?”
Molto tranquillamente mi rispondono di no un ragazzo alto con un po’ di barba, un ragazzo con dei rasta lunghissimi ed in parte disfatti, vari uomini e donne che si trovavano intorno per ascoltare cosa stavo chiedendo. Fra di loro c’è chi ha votato PD, Forza Italia in passato e Lega Nord negli ultimi anni, Sel. Destra e Sinistra insomma non c’entrano, loro sono lì per protestare in quanto uniti da una rivolta che nasce dal web e che esce da ogni logica di partito. Non hanno, anzi, la pretesa a creare un partito unico dal nulla, Antipartito, o cose che possono portare a pensare a quel famoso 19 gennaio 1919, la nascita dei Fasci di Combattimento. Perché di combattimento lì in strada non ce n’è proprio: è una manifestazione del tutto pacifica, dedita anche ad ascoltare la gente ferma in strada. Alcuni spengono la macchina e vengono a protestare assieme a loro.
Verso le 18,30 un uomo scende dalla vettura che stavo bloccando, si accende una sigaretta e inizia a parlare. “Fate bene, potessi farlo anche io.” Inizia a raccontarmi la sua storia. Ha 37 anni, lavora da 14. Ha iniziato come muratore e da 11 anni ad oggi “lavora” come volontario della Croce Rossa nelle ambulanze. “Lavora” perché è l’Ospedale di riferimento che paga questi volontari: lo Stato non finanzia la Croce Rossa italiana, mi dice, perciò tutto il lavoro che fanno per 8-10 ore al giorno non è retribuito legalmente ed insufficiente per una vita autonoma. Da 11 anni si aggiusta e cuce da solo la divisa, nel caso si rompa, perché la struttura ospedaliera non ha soldi anche per pagarne di nuove: deve fare dei tagli su cose simili per permettere ai volontari di vivere in qualche modo. Ha un fratello di 41 anni laureato, e in 9 anni è riuscito a trovare lavoro solo come commesso, a tempo determinato per giunta.
Sempre durante il blocco, un Porche Cayenne Turbo con a bordo un uomo ben pettinato, giubbotto bombato e una graziosa signora al suo fianco, decide di eludere il blocco che abbiamo creato: una ragazza con la tuta catarifrangente deve letteralmente saltare di lato, perché la macchina taglia in pieno tra il cartello stradale di doppia circolazione ed il cordolo dove era seduta a guardare le macchine. Senza scherzare troppo, fosse stata girata dalla parte opposta, si sarebbe quantomeno ferita. Dico ferita perché spero che quell’uomo non avesse davvero l’intenzione di passare anche a costo di uccidere qualcuno.
Parlo con altri ragazzi, che mi dicono numeri a proposito delle giornate precedenti: 500 il 9 dicembre, quasi 230 il secondo, 50 il giorno in cui siamo arrivati io e il mio amico. Uno di loro ci dice, guardando un suo amico, che “pure se siamo in due, qua stiamo, e dove minchia dobbiamo andare se io e lui non abbiamo più niente?”
Un ragazzo incappucciato con un piercing in cima al setto nasale mi dice che gli stanno sui coglioni i disoccupati. Se davvero non hanno lavoro, non ne trovano, e si lamentano ogni giorno tra facebook, twitter e nelle interviste in televisione, “dove sono quando davvero c’è da protestare? A casa a vedere la partita, a spippettarsi, dove sono?”
Il coordinatore di Rho fino a due mesi fa era un muratore. Dopo che ha subito anche quest’altra sconfitta dalla vita economica e politica italiana, ha deciso di dare credito al corridoio di voci che si spargeva sul web. Mi ha rivelato che la giornata del 9 dicembre era stata decisa nel giro di due settimane, e che non era previsto che durasse un solo giorno. Siccome è un movimento italiano senza partito, fazioni politiche, composto da agricoltori, autotrasportatori, disoccupati, studenti, mamme, pensionati, si chiama soltanto “movimento del 9 dicembre”. I Forconi, qui a Mazzo, non li nominano, alcuni manco sanno che in televisione li chiamano così. Ma sanno perché sono lì a manifestare.
Quando finiscono i blocchi, chi è in macchina inizia a suonare il clacson ripetutamente. Confesso che all’inizio pensavo che fosse liberatorio, per avercela con noi. Ma mi accorgo che tutti (ripeto, tutti) rallentano e ci salutano mentre suonano. Molte persone erano anche scese dalla macchina per applaudire, fumare una sigaretta, parlare con noi, ascoltare. Un camion che porta la scritta FRANCO illuminata di giallo e blu, alla richiesta dei protestanti di suonare, lo fa. Ci saluta, scuote il pugno in segno di incitamento e continua a suonare per un minuto.
Quando io e il mio amico decidiamo di andarcene dopo l’ennesimo blocco, vediamo che i manifestanti si sono dati il cambio e ai tavoli che abbiamo visto quando siamo arrivati ora stavano mangiando. Un fuoco alimentato da legna, carta e avvolto da una specie di griglia arrugginita offre un po’ di caldo mentre mangiano e bevono, per poi organizzare la giornata di domani, stare un po’ in tenda a ripararsi dal freddo e poi ritornare sulla rotonda.

Quello che posso capire, infine, è come questa protesta faccia paura a giornali e televisione in quanto non è assoggettata a nessun movimento politico: si cerca disperatamente di assegnarla a qualche fazione. I malpensanti di sinistra pensano che siano di destra perché “quando protestavamo noi, quelli di destra non c’erano, la polizia non si toglieva i caschi, e allora?!”; quelli di destra dicono che non c’è nulla contro cui protestare, e sono solo un branco di anarchici comunisti (senza capire fra l’altro quale profonda differenza ci sia fra i due termini). C’è chi associa Forconi a fascisti perché sente Grillo incitare la protesta, e Berlusconi pure. Il problema è che il populista Grillo e il finalmente decaduto Berlusconi cercano di arroccarsi nella torre della salvezza facendo sì che se c’è questa manifestazione, è per dare ragione a loro. “Lo fanno per noi” ha detto recentemente Berlusconi, riferendosi al suo partito caduto in disgrazia.
Per quanto mi riguarda, io che ho visto coi miei occhi Rho, Milano e che stasera vedrò anche Loreto, fino ad ora ho visto una manifestazione pacifica, allargata a tutte le età, di gente stufa di patire la fame, la crisi; vuole qualcosa di più dalla politica. Vuole democrazia, perché non ritiene democrazia quella di oggi. Tuttavia, è una manifestazione che non vuole imporre qualche sistema demagogico, instaurare gli albori di un nuovo Fascismo, Comunismo o qualunque politica brutta ed estremista che abbiate in mente.
Finché non c’è la pretesa di instaurare un partito unico, cieco e univoco verso poche esigenze maggioritarie, annullando le volontà individuali, io sostengo questa protesta. Quello che ho visto e ascoltato è il tentativo utopico di politica pura che vuole “rovesciare le leggi del capitale a cui la finanza ci ha assoggettato” (Diego Fusaro, filosofo neomarxista), al fine di giungere al bene comune per la civiltà italiana. Ed è un’utopia che sa già di non realizzarsi in pieno, ma vuole almeno togliere tutto ciò che non va nella Politica italiana e ricominciare da capo, con nuove speranze. Vuole politici che parlino con sincerità e che facciano davvero ciò che vuole il popolo, non vuole che sia il popolo a mettersi a capo di sé stesso, perché c’è la piena consapevolezza storica che si finirebbe con l’uccidersi fra poveri. C’è gente che ha testa e la usa in queste proteste, ed i casi isolati come i bastardi che vorrebbero bruciare i libri, o far chiudere forzatamente i negozi mentre sfilano in corteo, sono e devono restare casi isolati e (questi sì) estremisti. Esattamente come estremisti furono i Black Block al G8 di Genova, pagina nera di una delle manifestazioni che fino ad allora, a detta di molti,  era “una delle più belle che il mondo avesse mai visto”.
La speranza che si è accesa nella manifestazione, insomma, è quella che il volontario della Croce Rossa mi ha confidato durante la nostra chiacchierata: “…che i politici possano un giorno andare in giro in bicicletta fra la gente, come in Danimarca o in Svezia, perché la gente non ce l’ha affatto con loro. E un motivo ci sarà. Anzi, più di uno.”

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.