L’Alba del Pianeta degli Umani

Il film “L’alba del Pianeta delle Scimmie” è uscito nelle sale mondiali nel 2011. La storia narra di scimmie in rivolta contro l’Uomo, agli inizi di quello che poi sarà un dominio assoluto sugli esseri umani, in virtù della stessa intelligenza e della forza maggiore che i primati sapranno dimostrare. Al di là dello sviluppo della trama e della presa che il film possa aver avuto sul pubblico, sarebbe anche il caso di considerare le riflessioni che da questa pellicola possono partire, siano esse di carattere etico, biologico o filosofico. E perché no, tutte e tre insieme.

Cesare, la scimmia protagonista del film, mentre guida la prima "storica" rivolta dei primati.
Cesare, la scimmia protagonista del film, mentre guida la prima “storica” rivolta dei primati.


 

Peter Singer, un noto filosofo australiano ed insegnante di Bioetica alla Princeton University, è famoso per aver pubblicato un libro nel 1975, dal titolo “Liberazione Animale”. In esso, ci sono tutti i presupposti di un vero e proprio manifesto animalista, che vuole porre radici profonde nella psiche umana introducendo per la prima volta il concetto di Specismo: una sorta di razzismo fra specie diverse. Ciò spiega senza dubbio il perché l’essere umano si sia considerato da almeno un paio di millenni come la razza dominante, mettendo in condizione d’asservimento le restanti creature viventi. Inutile dire che, storicamente, l’Uomo tenda a porre paletti d’odio e diffidenza anche fra esseri della propria specie: non si spiegherebbe l’odio razziale, lo sterminio degli Armeni e, soprattutto, quello degli Ebrei. Il punto, dice il filosofo, è che tutto questo impedisce una buonissima armonia fra esseri viventi. Buonissima, ottima, ma non perfetta: nemmeno Peter Singer crede che, qualora la smettessimo di trattare gli animali come esseri inferiori (siano per noi esperimenti, cibo, “cosini” teneri e buffi da guardare allo zoo), ci possa essere una perfetta armonia tra esseri viventi. Un esempio per un altro è la semplice esistenza di animali carnivori: noi possiamo scegliere di essere vegetariani in quanto abbiamo una coscienza di sè tale da farci ragionare; inoltre, non si muore certo di fame a scegliere questa vita alimentare. Ma chi non ha una propria coscienza? Chi non sa ponderare la sua vita dall’oggi al domani come gli animali? Come fare per impedire che ci siano ancora, in natura, prede e predatori?
Molti si chiederanno cosa c’entra tutto questo con il Pianeta delle Scimmie. C’entra se noi consideriamo che la fantasia umana ha potuto produrre un romanzo, e svariati film, su una condizione di vita che può essere perfettamente ribaltata: se fossimo noi gli esseri inferiori, e loro a comandare?

La famosa ultima scena de "Il Pianeta delle Scimmie" del 1968.
La famosa ultima scena de “Il Pianeta delle Scimmie” del 1968.

Innanzitutto, trovo sbagliate due cose: che le scimmie posseggano il nostro grado di intelligenza e che la loro reazione sia quella di rivoltarsi in modo fisico, cercando l’immediata eliminazione.
Il primo punto lo trovo realisticamente e biologicamente falso, in quanto ogni creatura vivente ragiona e pensa in base alle proprie sinapsi, a com’è composto il suo cervello, alle sue priorità e alle sue capacità mentali: non è detto che un cane super-intelligente arrivi a “fare l’umano” nel caso sia persino in grado di latrare. Nel caso in cui accadesse ora, parlerebbe nella lingua umana nel paese in cui si trova, non avendo sentito altri suoni intorno a lui: in un universo parallelo, ci sarebbe tutta un’altra Glottologia da studiare, specialmente se fossero i primi esseri viventi a comunicare verbalmente. Il linguaggio proposizionale è composto da quello che gli inglesi chiamano “patterns”, schemini ossia, che rimandano a proposizioni e credenze per ogni inferenza contenuta nella frase. Se supponiamo che un cane stia inseguendo un gatto su qualche strada, che il gatto salga sull’albero e che il cane cerchi di arrampicarsi, la nostra mente penserebbe “il cane vuole salire sull’albero per prendere il gatto.” Ma nella testa del cane ci può essere il nostro stesso concetto di albero, proprio quell’albero, lo stesso di altre volte con annesse tutte le varie situazioni che ruotano attorno a quell’albero, e così a quel gatto, quella strada, ecc? L’errore è dunque puramente umano, poiché più che empatizzare il pensiero di un animale, noi non possiamo fare altro per comprenderlo. Tanto meno credere in una loro evoluzione tale e quale alla nostra!
Il secondo punto è più un fattore etico che filosofico-razionale: anche ammesso che le scimmie (o i cani, per rimanere nell’esempio) riescano ad essere davvero intelligenti da potersi ribellare ai nostri costumi, alla nostra barbarie e dimostrare quanto è stupida la distinzione fra umano e animale che abbiamo sempre fatto, non è per forza necessario né inevitabile che ciò corrisponda ad una nostra fine. L’etica mi porta a pensare agli Ebrei quanto agli Afroamericani. La popolazione Sudafricana e Statunitense è perfettamente ed equamente divisa tra bianchi, ispanici, mulatti, neri, indiani, cinesi, arabi, ecc. Se esseri umani, portati da sempre alla violenza verso il prossimo e alle crudeltà più degli animali (anzi, quasi del tutto più di loro), non credo che si possa temere un attacco di massa da parte degli animali. I lupi, dopo uno scontro non per forza sanguinolento, decidono chi sarà il capo del branco: dopo tali lotte, il perdente mostra la giugulare al vincitore e lì, a 3 centimetri dalle sue unghie, il nuovo lupo alfa lo lascia andare. Non è più una minaccia, non cercherà più di sfidarlo, vivrà pacificamente in mezzo al branco con tutti gli altri. Si può dunque dire che, evolvendosi, questa sorta di lealtà insita in loro da migliaia di anni è difficile che scompaia ad una prima evoluzione intellettiva, nei lupi come negli animali; allo stesso modo, nonostante i continui germi di odio razziale o maschilista ampiamente diffuso nel mondo (e qualche eccezione che prevede la morte di qualcuno, purtroppo), non mi sembra che si parli di ulteriori genocidi dopo ciò che successe tempo fa. Indice che anche in noi è insito un codice etico, dedito ad evitare prima o poi le sofferenze, che noi siamo i vincitori o i perdenti.
La sofferenza, il dolore e il modo di evitarlo è il punto forte della tesi di Singer, in cui si può citare un testo molto particolare: la Relazione (1917), testo scritto da Franz Kafka.

La scena finale de "L'alba del Pianeta delle Scimmie". La prima e ultima frase della scimmia sarà "Cesare è a casa".
La scena finale de “L’alba del Pianeta delle Scimmie”. La prima e ultima frase della scimmia sarà “Cesare è a casa”.

Singer individua tre elementi chiave per stabilire se sia giusto o sbagliato uccidere, nutrirsi o usare gli animali per il bene della nostra scienza: bisogna chiedersi se soffrono, se il loro sistema nervoso sia uguale al nostro, e se hanno la tendenza a reagire in qualche modo quando per noi può esserci una situazione di dolore. Per motivi del genere, il filosofo australiano ritiene che sia un assassinio nutrirsi di animali allo stesso modo in cui sarebbe un omicidio se una persona uccidesse un suo simile, o se ai bambini del terzo mondo si desse da mangiare carne umana macellata. La spiegazione, tuttavia, è secondo me “specista” verso gli esseri viventi mobili e troppo umana (il richiamo all’opera di Nietzsche non è casuale) verso gli animali. Vorrei utilizzare la storia di Kafka per dimostrarlo.
Pietro il rosso è uno scimpanzé catturato in Africa e addestrato a diventare umano a tal punto da poter presenziare ad una conferenza scientifica, tutto ben vestito ed elegante, e persino parlare delle origini della sua specie e di come si comportano nella foresta da migliaia di anni. Tutto questo lo può fare grazie ad un addestramento umano, ha imparato a parlare e a scrivere in modo umano, ha imparato a pensare umanamente. Perciò, le lezioni e gli esperimenti su di lui sono stati di conseguenza ciò che volevano gli Umani, non lui.
Quando Pietro il Rosso, scimmia comunque già di alto intelletto tra i suoi simili, viene chiusa in gabbia e nutrita quotidianamente, sono poche le domande che potrebbe farsi. Questa teoria viene anche spiegata dall’alter-ego di J.Coetzee, Elizabeth Costello, nel libro La vita degli animali: da un giorno all’altro il sostentamento di Pietro viene a mancare, e nella sua gabbia vengono poste delle casse e una banana appesa ad un filo. Gli scienziati osservano il comportamento della scimmia in funzione di quello che si aspetti che faccia. Ma sempre per questa legge, ella potrebbe pensare tutt’altro. Può rimanere ferma, chiedendosi perché gli stiano facendo questo, cosa rappresenta, perché una banana e non una mela, come mai oggi gli scienziati sono tre anziché uno. Queste vengono etichettate nella mente umana che sottopone quell’animale a quell’esperimento come errate: la domanda giusta che si deve fare è come usare le casse per raggiungere la banana. Sicché una possibile alta speculazione viene ridotta nei minimi termini ad una bassezza alimentare.
Se è vero che in questo modo noi stiamo pensando a intromettere in lui domande umane secondo il nostro punto di vista, entrando in un circolo vizioso, possiamo altrimenti concludere questo: non è detto che anni ed anni in cui gli animali hanno dimostrato di essere come sono, siano la realtà. Gli uomini sono intelligenti, ma se trasportiamo un uomo di oggi nel passato, uno qualunque, e chiediamo a lui di insegnare tutte le nostre scoperte agli uomini del passato, non sarebbe in grado di fare nulla: alzi la mano di noi sa come costruire un treno, una macchina o un aereo. E anche con un alto grado di intelligenza, noi Umani non mostriamo sempre la nostra intelligenza in modo continuo: direi anzi che molti non ne mostrano mai per tutta la loro esistenza. E’ dunque possibile che gli animali si comportino come meglio gli conviene per il viver quieto, osservando noi e la nostra frenetica vita.
Infine, vorrei porre l’ultima domanda, per contestare l’unico punto di Singer che non mi convince: se dobbiamo levare ogni pregiudizio sul fatto che gli animali possano soffrire e reagire alla sofferenza, perché non potrebbe valere lo stesso anche per il mondo vegetale? Sembra ormai che tutti abbiano accettato che le piante non sentono dolore, ma è davvero così? Una persona in stato vegetativo soffre a causa delle continue cure, si sa. Ma lo si sa perché siamo abituati, ci è stato insegnato così. Ma poiché abbiamo un’empatia elastica, se per la prima volta, lontano da qualsiasi cultura e insegnamento, senza mai aver visto un altro essere umano oltre a lui, un essere umano vedesse un altro uomo immobile, comatoso, riuscirebbe ad essere in grado di percepire qualcosa in lui, se quell’uomo fosse sofferente? Allo stesso mondo, il mondo vegetale è vivente anch’esso: può dunque soffrire per questa correlazione?
Io non so dare una risposta, ma questa e altre domande mi sono sorte pensando a questo argomento, perciò ho semplicemente argomentato.
In modo umano.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.