La Dubbiosa Commedia

 

 

 

Nel mezzo del cammin di nostra Italia
mi ritrovai per un governo oscuro
che la sinistra via era smarrita.

Ah quanto a dir qual Lodo ingiusto era
esto Alfano affranto e corrotto e forte
che nel Milleproroghe rinova la paura!

Tant’è amaro che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’in Italia trovai
dirò dell’altre cose ch’ i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir qual cazzata notai,
tant’eran troppe ed io sfinito a quel punto
che la Versace via detestai.

Ma poi ch’io i’ fui al piè d’un Colle giunto
là dove Corruzion detenea la valle
che m’avea di paura il cor compunto,

guardai in alto, e vidi le Sue spalle
credendosi il Silvio già profeta
che teneva ovunque i suoi Cani per le palle.

Allor fu la paura un poco questa
che nel lago del cor già ira era creata
per ogni notte ch’ Ei passava con tanta Festa.

E come quei che con aria affannata
usciva fuori de’ Seggi da votazione attiva
scopre la vittoria del Duce Silvio, ahi lasso, scontata

così l’animo mio, che già un po’ capiva
si volse a retro a rimirar l’Ignoranza di massa
che non lasciò già mai Intelligenza viva.

Poi feci dentro ‘l Sommo Edificio lo primo passo
e ripresi via per la Camera deserta,
sì che compresi quanto lavoro da essi fatto fosse basso.

Ed ecco, quasi a cominciar del Parlamento
un Monti leggiero ricco molto
che dell’Italian pelli scuoiate era coperto;

e mi si parlò con labbro moscio poichè di riso gli manca ‘l volto
anzi impediva tanto la sua IMmUnità
ch’ i’ trattenni più volte le risa, rosso in volto.

Temp’era di dar l’oro in bocca all’Italia il mattino
e la Borsa buttava giù le azioni, come comete le Cinque Stelle
che cadder su loro tutti quando un Manifestante divino

mosse di prima quelle spranghe belle;
sì ch’a bene sperar m’era un tempo cagione
di quell’Insetto, ma con le schede nelle favelle

l’Anti-Partito si dimezza come la Stagione;
ma non sì che ira mi bastasse
quando m’apparve d’un Bersani.

Questi qualcosa contro me, inudibile ad’omo, dicesse
con la bocca storta e ‘l bavoso sigaro, zoppo e trionfante,
sì che di paura parve parlasse, a ragassi e ragasse.

Ed un Fede, che di tutte brame
morto di figa e monco di saggezza
e molte menti fè già informar grame

questo mi parve tanto di stoltezza
con menzogna ch’uscia da sua vista,
ch’io persi il controllo e mi sfogai con Caparezza.

E deciso qual fosse giusta da seguir di pista
e giugne ‘l tempo di prender la Falce
che di tutte loro teste la Morte fa festa;

le bestie, infime, condanna all’eterno senza pace
e spaurite, evitando l’incontro, che al pogo mancava poco
si rifugiavan là dove ‘l sol tace.

Mentre ch’ i’ scendeva in basso Loco,
dinanzi alli occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel Parlamento,
“Miserere di me” gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”

Rispuosemi: “Non omo, Homo già sonAAAAAAAH”
e d’un fracasso l’Homo Vendola tacque,
giacché al mio ver maestro dal Rosso Mantello quel figuro PD non piacque.

Ed io: “Or se’ tu quell’Enrico del Partito Forte
che di Connubio Sublime  l’Italia facesti uscire dalle idee di Fiume?”
chies’ io lui, e continuai con vergognosa fronte.

“O delli altri partiti Disonore e Lume,
non vagliano ‘l tuo Sapere e ‘l Grande Amore
che di tua idea d’Italia lessi ogni volume.

Tu se’ lo Berlinguer, maestro ed autore;
tu se’ solo colui da cu’ io m’accorsi
dell’unica via che in Italia poteva crearsi Amore.

Vedi le Belve a cui, nella mia testa, la vita già tolsi:
aiutami ad ucciderle, con tua Forza e Coraggio
che invece di una mano è meglio due polsi.”

“A te convien tenere l’ira lungo il viaggio”
rispose poiché frascarli di botte mi vide,
“se vuo’ trovar soluzione d’esto Dubbio Loco:

chè quelle Bestie, per le quali tu gride,
anche se muore, altra sarà al suo posto messa via,
è questo che frena le mie voglie omicide;

e han natura sì malvagia e ria,
che fra Leggi e Scandali alimentan loro la sporca voglia,
e dopo le Grandi Inculate all’Italia son più gay che pria.

Molte son Donne e Soldi a cui s’ammoglian,
e più saranno ancora, finché gente come Cicchitto
lascerà fare, senza permettere ch’essi si doglian.

I Maroni, con esse, ciberan Tasse e Denaro
e tolta sapienza, amore e virtute,
Nostra Nazione è già in un giogo amaro.

Di quella misera Italia non fia salute
che sia in Politica la Mussolin Balilla,
Partigiani, Rivoluzionari e Giustizieri, figur morute.

Quest’ultimi son cacciati per ogni Villa
fin ch’ella non finirà all’Inferno
là onde la Rossa Ondata prima dipartilla.

Ond’io io per tuo ben penso e discerno
che tu mi segui, ed io sarò tua Guida,
e trarrotti fuori da Mediaset, corrotto eterno,

ove udirai le disperate strida,
vedrai Civati e Ambrosoli dolenti
che le Elezion Fallite ciascun grida;

e vedrai Santoro e Travaglio contenti
nel foco, perché speran, ed io pure, di venire
Martiri durante le Rivoluzion de’ genti.

Alle qua’ poi, se tu vorrai salire,
anima fia a ciò che di brutto mi disdegna;
dinanzi a Silvio ti lascerò l’ira sbollire;

che si crede imperador che l’Italia regna,
stracciando Costituzione e ponendo sua Legge,
lo ucciderai anche per me, fantasma che senza corpo a lui non vegna.

In tutto lo Stato lo Stronzo regge;
quivi lui Duce è il suo stile e l’Alto Seggio:
oh corrotto colui che ivi elegge!”

E io a lui: “Vai tra che figa, se lo becco lo ammazzo.”
Allor partimmo io e lui in massa, e dietro l’incazzoso gregge
che come noi, di Silvio che fa man bassa, s’erano rotti il cazzo.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.