Gli indifferenti di Botero

Fernando Botero Angulo in una foto molto recente.
Fernando Botero Angulo in una foto molto recente.

A quasi tutti sarà capitato di vedere immagini strane su alcune cartoline o prodotti commerciali in plastica, al supermercato o comunque su internet. In esse sono raffigurate persone molto grasse, spesso nude, che fanno cose di tutti giorni, come la toeletta mattutina, stendersi sul letto, vestirsi. Alcune volte si vedono persino scene bizzarre, come un momento al circo in cui tutti fanno qualcosa di particolare, una foto ricordo con degli esseri umani sovrappeso impassibili davanti al fotografo, altre due persone in taglia extra-large che ballano, ecc. Quelle immagini, che suscitano curiosità o una maliziosa ilarità, non sono altro che rappresentazioni d’arte, secondo i critici odierni. L’artista in questione si chiama Fernando Botero Angulo, scultore e pittore colombiano.
Nato a Medellìn, sulle Ande, il 19 aprile 1932, è figlio di un rappresentante di commercio. Vissuto in una famiglia agiata, colta e cattolica per il periodo del ’30 e del ’40, Fernando sviluppa già da bambino una particolare sensibilità per l’arte: è affascinato dall’architettura barocca e dalle illustrazioni della Divina Commedia di Gustave Doré. Più le cose sono esteticamente strane e vistose, più gli piacciono: questa sua visione della creazione artistica la trasporrà in ogni sua futura opera.
All’età di 12 anni lo zio lo iscrive ad una scuola per toreri: in una società fortemente spagnoleggiante come quella colombiana, fare il torero significava soldi e fama, specialmente in quegli anni ’40 che vedevano le vecchie tradizioni ancora così radicate e ferree davanti ai cambiamenti sociali che, inesorabilmente, iniziavano ad esserci. Rimane lì per due anni, periodo nel quale dipinge la sua prima opera: un acquerello raffigurante un torero.

"Torero", 1945
“Torero”, 1945

All’età di 16 anni diviene l’illustratore del giornale più importante della sua città: “El Colombiano”. A lui è affidato il compito delle illustrazioni domenicali, giorno in cui il quotidiano veniva venduto maggiormente rispetto al resto della settimana. Nel 1948 le sue “opere” (non vengono ancora chiamate così, ma la gente nota comunque il suo grande talento) ad una mostra a Medellìn, assieme ad altri artisti. La sua prima vera volta in solitaria avviene nel 1951 nella capitale, Bogotà.
Nella capitale, con l’opera “Sulla Costa”, vince il secondo premio al IX Salone degli artisti colombiani: il denaro che ne riceve lo utilizza per fare un viaggio di studi in Europa. Tra le varie tappe, ciò che gli rimane più impressa è quella al Museo del Prado di Madrid, dove conosce le opere di Goya e Tiziano. A Parigi, invece, medita a lungo sull’avanguardia francese e, dopo averla debellata dalla sua idea di forma d’arte, decide di interessarsi anche ai pittori antichi. In Italia, infine, scopre le bellezze del nostro Rinascimento, dove cerca di riprodurre le opere del Mantegna e di Giotto.
Tornato in patria nel 1955, si sposa ed inizia ad esporre per conto proprio. In Colombia riceve immediatamente forti critiche per la sua arte, che prima invece sembrava apprezzata: il motivo è ciò che in parte lo ispirerà maggiormente nella seconda parte della sua vita. La società dell’epoca ora si era abituata alle avanguardie francesi, che recavano aria di novità e di moda d’arte, perciò Botero non poteva essere più così apprezzato, lui che aveva disprezzato quella nuova forma d’arte già così amata. Si sposta così in Messico, dove scopre di poter dilatare a suo piacimento le forme nello spazio sulle tele e sulle sculture.
A Washington, durante una mostra, conosce l’espressionismo astratto e nel 1958, dopo aver ricevuto la cattedra di pittura all’Accademia d’arte di Bogotà, riceve finalmente il primo premio all’XI salone con “La Camera degli Sposi”. Sempre in quell’anno, espone nuovamente a Washington, dove nello stesso giorno dell’inaugurazione vengono vendute tutte le sue opere!

"La Camera degli Sposi", 1958
“La Camera degli Sposi”, 1958
“Niño de Vallecas”, 1959

Dal 1959 comincia a studiare Diego Velázquez e, influenzato dall’espressionismo astratto, dipinge più di dieci versioni del “Niño de Vallecas”, utilizzando pennellate incisive e monocromatiche.
Vince un premio “Guggenheim” e partecipa, alla V Biennale di San Paolo in rappresentanza della sua patria.
Nominato rappresentante della Colombia alla II Biennale del Messico. viene osteggiato ed aspramente criticato. Per la terza volta, Fernando abbandona il suo paese con pochissimo denaro e si trasferisce a New York, ma anche qui i fallimenti non tardano ad arrivare: la sua prima mostra, nel 1961, è un fiasco. L’unico acquirente, che voleva acquistare la sua “Monna Lisa all’età di dodici anni”, si tira indietro all’ultimo, lasciando con nulla fra le mani.
Nel 1963 si appassiona a Pieter Paul Rubens e diviene come lui un importante collezionista di opere d’arte, che più tardi donerà al museo di Bogotá che porta il suo nome. Nel 1964, dopo quattro anni dal divorzio, si sposa per la seconda volta. La sposa si chiama Cecilia Zambrano.
Intanto il gusto artistico del pubblico si evolve ed il nuovo stile plastico di Fernando Botero, connotato da colori tenui e dalle forme tondeggianti, inizia a piacere: nel 1966 espone con successo in Germania, poi a New York ed infine a Bogotà, dove il suo genio viene ora riconosciuto. Nel frattempo, inizia anche a studiare le opere di Durer, Manet e Bonnard. La gloria giunge infine a Parigi nel 1969: ormai è amato dal mondo, e nel mondo inizia il suo pellegrinaggio in cerca d’ispirazione.

"La Mano", a Madrid.
“La Mano”, a Madrid.

Nel 1973 si trasferisce a Parigi dove inizia a dedicarsi seriamente alla scultura. Nel 1979, a causa di un incidente, perde la vita il suo terzo figlio, Pedro, a cui dedica molte sue opere. In quello stesso incidente, Fernando perde il mignolo della mano destra, e questo lo spinge a ingigantire l’esistenza nelle mani nelle sue sculture, in particolare nella sua più celebre sul Paseo de la Castellana a Madrid.
Nel 1983 acquista una casa a Pietrasanta: è solito starci per alcuni mesi dell’anno, tempo che gli consente di rimanere vicino alle cave di marmo che si trovano lì, e che gli consentono di poter creare con maggior passione.
L’ultimo aneddoto della sua vita risale al 21 ottobre 2007, anno in cui a Pietrasanta gli vengono sottratte alcune opere per un complessivo di 4 milioni di euro. Ancora oggi alcune non si trovano.

Di questo grande artista possiamo analizzare anche la sua pittura e la sua scultura: innanzitutto, il colore per lui dev’essere steso in campiture, lineare ed uniforme, senza esaltazioni particolari od ombreggiature. Ciò permette di rendere chiara l’immagine all’interno dello spazio dell’opera.
Inoltre, generalmente Fernando Botero si stacca moltissimo dai personaggi che disegna: pertanto si poptrebbe pensare che lo sguardo vacuo, vuoto ed ignorante che essi assumono, sono il frutto di un suo allontanamento psicologico dalla tela. Ciò provoca questa distanza anche a chi osserva le sue pitture: il colore ben composto e l’eccessiva spazialità dei corpi può benissimo urtare lo spettatore, creargli dentro, in perfetto ossimoro col quadro, un senso d’incompletezza. E’ l’interiorità, difatti, a farla da padrona nell’arte di Botero.  Per alcuni, si può persino parlare di un’enorme critica di massa “con la massa dei corpi”: sovrappeso ed indifferenti, questi sono gli uomini della società di oggi. Pieni di inutili cianfrusaglie di cui non sanno che farsene, poiché sono distanti da tutto e tutti.
Temi a lui molto cari sono anche quelli del sacro della violenza, specialmente di quella colombiana negli anni ’40.
Insomma, da qualunque lato la si veda, quella di Fernando Botero Angulo è arte. Se è arte commerciale, allora vende bene ed è pure ricca di contenuto. Se è arte fatta col cuore (e a mio personale giudizio, ritengo sia così), allora siamo davanti ad un grande pittore e scultore che verrà osannato definitivamente quando esalerà l’ultimo respiro, ossia troppo tardi.

Dipinto del 2005 che raffigura il tema della violenza colombiana negli anni '40.
Dipinto del 2005 che raffigura il tema della violenza colombiana negli anni ’40.

Pubblicato da Lorenzo Rotella

Laureato in Filosofia, giornalista de La Stampa.